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296 ATTO TERZO
Selene. I rimproveri intendo. Eh! di’, Lavinia,

Che l’amore ti accieca, e un’infelice
Per vanitade o per vendetta insulti.
Lavinia. No, t’inganni, pietosa esserti bramo.
Tal mi avrai, se mi credi. Odimi: io sono
Destinata ad Enea. Non scelsi io stessa
Uno sposo stranier, che poco innanzi
Sconosciuto a me fu; nè creder puossi
Che arda in brievi momenti amore in petto.
Le nozze mie sono dai Dei volute,
Le accorda il padre mio, prescrive ei stesso
Questa legge alla figlia, ed il rispetto
Da noi pretende in sagrifizio il cuore.
Ma vuo’ dirti di più, per darti prova
Di mia sincerità. Stassi a un tal nodo
Questo regno congiunto, e amor di regno
Compatibile in donna al trono avvezza,
Onesta brama a obbedienza aggiunge.
Tu infedel mi dipingi il stranier duce;
Tal sarà, non impugno. Ah di’, Selene,
E chi di noi assicurar si puote
D’uno sposo fedele? E qual regina
Porge la destra, assicurata in prima
D’immancabile amor? Vuoi tu ch’io perda
Per sì lieve sospetto ogni speranza?
Vuoi che io ceda uno sposo, e seco io ceda
Le ragioni del trono? Hai cuore in petto
Per consigliarmi a disonor servile?
Vuo’ che amore ti sproni, e preferire
Vogliasi all’altrui ben la tua fortuna;
Ma che speri da lui che sol di regno
Mostrasi acceso, e dalla gloria spinto
Abbandonò la tua germana istessa?
Se giovarti potesse un mio rifiuto
E salvar me dall’invincibil danno,