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294 ATTO TERZO

SCENA II.

Lavinia, Guardie, poi Selene.

Lavinia. Smanie di gelosia, cedete il loco

Al più cauto disegno, e in mio soccorso
Arte si adopri non di laude indegna.
Selene. Spiriti di vendetta, una memoria
Resti al mondo di noi; pria che dal Lazio
Viva o spenta mi tolga il mio destino,
Plachi l’ombra di Dido e il mio disprezzo
D’Enea crudele e di Lavinia il sangue.
Ma chi è colei che fra le tende io miro?
È Troiana, o Latina? A me si avanza.
Chiunque sia, si eviti. (in atto di partire
Lavinia.   Arresta il passo,
Generosa Selene.
Selene.   Tu, cui noto
E il mio nome, chi sei?
Lavinia.   Son tal, che forse
Di te sente pietà più che non pensi.
Selene. Di un’inutil pietà risparmia il dono.
Lavinia. Utile ti sarà, se non la sprezzi.
Selene. Sprezza tutto il cuor mio, fuor che vendetta.
Lavinia. Contro chi tanto sdegno?
Selene.   A te che giova
Penetrare i miei torti e i miei nemici?
Lavinia. A te posso giovar.
Selene.   Chi sei mi svela.
Lavinia. Compiacerti non sdegno. In me ravvisa
Di Latino la figlia.
Selene.   Oh Dei! Lavinia?
Lavinia. Sì: come hai tu del nome mio contezza?
Selene. Ah! pur troppo l’ebb’io.
Lavinia.   (Se sdegno ha meco,