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292 ATTO TERZO
Or che temi in raminga umìl donzella

Che pietà cerca, e non amor? Che asilo
Forzata viene a mendicar dai fati,
E lui pietoso e non amante invoca?
Lavinia. Claudio, ahimè! chi ben ama, e chi sua vita
E sua sorte abbandona in man di sposo,
Di leggier non accheta i suoi sospetti.
Non insulto di Enea la fè, l’onore,
Con ingiusto timor; ma chi può farmi
Certa d’un ver che alla mia mente è oscuro?
Chi sa dirmi se Enea d’amore ardesse
Per Didone o Selene? Oltre il suo labbro
Altre non ho testimonianze, e ancora
Di sua sincerità prove non conto.
Veggo donna regal del Lazio in riva
Ch’Enea rintraccia, ed il Troiano io veggo
Impegnato a prestarle utile aita,
E al padre mio raccomandarla ei stesso.
Nemica certo dell’eroe non viene.
Se chiedesse vendetta e della suora
Intenta fosse a vendicar la morte,
Pietoso tanto non sariale il duce.
O l’amò un tempo, o la memoria in essa
Ama della germana, e amor potrebbe
Divenir forse la pietate un giorno.
Irritarlo non vuo’. Scacciar dal Lazio
Non intendo colei ch’egli ama e onora.
So che offesa pietade, o amore offeso
Non lascierìa1 di vendicarsi, e forse
In me cadrebbe la vergogna e il danno.
Enea, scorto dai Numi, omai del Lazio
Fatto è signor. Il genitor soggiacque
Al voler del destino; aperto il varco
Gli lasciò al nuovo regno, e Turno vinto

  1. Nel testo: lasciarìa.