Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/293


ENEA NEL LAZIO 289
Fosse la morte a tolleranza e duolo.

L’infelice perì, non so s’io dica
Per amore o per sdegno. Ombra diletta,
Che in sen del vero i miei sospiri ascolti,
Placati per pietà: soffri ch’io renda,
Se a te non posso, alla germana illustre
Di dover, di pietà prove sincere.
Sì, principessa, a tuo favor disponi
Di me, del mio poter, di quanto il fato
Sulla terra mi accorda; obblìo1 gli oltraggi,
E per pietà più non chiamarmi ingrato.
Perennio. (Già placata è Selene). (da sè
Selene.   (Oh cari accenti! (da sè
Oh lusinghe, o speranze!) Enea, ti credo:
Compatisco i tuoi casi, e pace doni
Al pietoso tuo cor la suora estinta.
Ma che poss’io temer da regal figlia
Cui giurasti la fè?
Enea.   Lavinia è saggia;
Avrà meco pietà di tue sventure.
Condurrotti io medesmo alla mia sposa.
Selene. Sposa tua già la chiami? (mortificata
Enea.   Io tal la chiamo,
Qual me la diero di lor mano i Dei.
Selene. Questi Dei che tu nomi, o mal conosci,
O del favor di lor clemenza abusi.
Reggiti a tuo piacer. Da te non chiedo
Nè pietà, nè giustizia. Io sol la chiedo
Ai medesimi Dei che insulti e sfregi.
Perennio, andiam. (Mi lusingaste invano,
Speranze infide e menzogneri accenti). (parte
Perennio. (Il voler troppo è di sventure il fonte.
Saggia è Selene, ma di donna ha il cuore). (parte

  1. Forse è da leggere: obblia.