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286 ATTO SECONDO
Ma pei Troiani e pel mio figlio il feci.

Selene. E Lavinia, signor, per chi destini?
La riserbi a tuo figlio, o aggiunger devi
A tante altre fatiche i tuoi sponsali? (ironicamente
Enea. Così vuole il destin.
Selene.   Linguaggio usato
Da chi scusa miglior ricerca invano.
Di’ che fingesti con Didone affetti,
Finchè ti valse il mendicato asilo.
Di’ che mai non ti piacque il suo sembiante,
Che aborristi il suo sangue, e lieto fosti
Di Didone al dispregio aggiunger l’onte
Di Selene all’amor.
Perennio.   (Questo è lo sdegno
D’ogni sdegno maggior).
Enea.   Più che non credi
La beltà di colei m’accese il petto;
Sallo il cuor mio che dal fatal momento,
Che dal lido african l’ancora ho sciolta,
Pace ancora non ebbi, e non la spero
Finché l’ombra non plachi, o il sangue io versi.
Di te non meno ebbi pietà. Le fiamme
Che svelarmi ti piacque, al punto estremo
Crebbero il mio dolor. Penai partendo
Di due germane ai benefizi ingrato.
Selene. No, crudel; se pietà vantar pretendi,
Ho la vianota di smentirti. Opra fu dunque
Di pietate e d’amor lasciarci esposte
Al furor d’un nemico, a Jarba in braccio?
Perchè prima di scior le vele ai venti
Non togliesti di vita il Moro infido?
Perchè, quando l’avesti al piè sconfitto,
Non trafiggergli il sen? Dovevi forse
Più al Numida crudel, che a una reina
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  1. Nel testo si legge: Ho via ecc.