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ENEA NEL LAZIO 283


SCENA IV.

Enea e Soldati.

Enea. Secondi il Ciel la coraggiosa impresa;

E se i Numi gli dier valor bastante,
Tempo è ch’egli si compri onor novello.
Ma che dir vuole il mormorar ch’io sento
Fra le turbe confuso? Avete a sdegno
Di restar fra le tende, or ch’altri vanno
Nuove palme a raccor? Frenate, amici,
L’onorato desìo. Voi più di tutti
Faticaste nel campo. Il duce vostro
Lo conobbe, lo sa; maggiori imprese
Non mancheranno al vostro zelo; io deggio
Risparmiar le mie genti. Alla fatica
Il riposo succeda; io pur ne ho d’uopo;
E fin che rieda colle navi Acate,
Le stanche membra ristorar destino.
Vada ciascuno a ricovrarsi all’ombra
Di pacifiche tende, e l’ora aspetti
Del sacrifizio ai sommi Dei dovuto.
(Va a sedere sotto al suo padiglione, e tutti i Soldati si ritirano nelle tende apprestate, restando solo le Guardie che circondano il padiglione di Enea.
Deh non turbate i miei riposi, o larve
Crude tormentatrici. In pace lascia,
O triegua almeno ai mio pensier concedi,
Sventurata Didone. Assai finora
Ti vendicasti del sofferto oltraggio. (tenta di riposare
Ah che invano lo spero. Appena i lumi
Chiuder provo alla luce, ecco in aspetto
Torbido, minaccioso, al guardo intorno
Comparirmi la cruda. E qual io posso
Stender la destra all’innocente figlia