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282 ATTO SECONDO
Ascanio. Dimmi, signor, puote sperar dal padre

Il figlio umil di sua clemenza un dono?
Enea. Parla, figlio, che brami?
Ascanio.   Ancor respira
Il nemico maggior che il Lazio infesti.
Lo sottrasse la fuga alla vendetta;
Ma se spento non è, sperar non lice
Il riposo comun; concedi, o padre,
Ch’eletto stuol di valorosi amici
Guidi e regga tuo figlio, e in traccia io possa
Gir del nemico, e se timor l’asconde,
Sulle mura di Ardea piantar le insegne.
Enea. O valoroso, o degna prole invitta
Di Creusa e di Enea! Va’ pur, fidarmi
Posso del tuo valor. Conobbi io stesso
Non solo ardir ne’ colpi tuoi, ma retti
Da consiglio li vidi1 e da fortezza.
Piramo, Laomedonte, Accaio e Alceste,
Le da voi comandate agili squadre
Raccogliete, animate. A voi confido
L’unico figlio mio; confido ad esso
L’onor dell’armi e della patria il nome.
Itene, o prodi, a fecondar gli allori;
Tu vanne, o figlio, e vincitor ritorna.
Ascanio. Attendi, o padre, o ch’io ti rechi al piede
Il nemico in catene, o il capo altero
Sovra un’asta confitto. In cuor mi sento
Amor di gloria, di fortezza armato.
(Parte, seguitatlo da vari Soldati, al suono di militari stromentì

  1. Nel testo: viddi.