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278 ATTO SECONDO
Scender foste veduti, e qua non lice

Afferrar porto ed avanzare il passo,
Senza che il re Latin lo sappia e il voglia.
Perennio. Regna quivi Latin?
Claudio.   Laurento è quella. (accennando la città
Perennio. Felici noi; siamo in terreno amico.
So del re la pietà. Parlarne intesi;
D’Aborigeni ei fu sovrano un tempo,
Or del Lazio è signor. Siculi e Greci
Scacciando il suo valore....
Claudio.   Io non ho d’uopo
Che a me tu narri del mio rege i fatti.
Di’ piuttosto chi sei, chi è la donzella
Che vulgar non mi sembra.
Perennio.   A te il mio nome
Esser noto non può. Perennio io sono,
Nato in misera culla, e in regia corte
In uffìzio servil la vita ho spesa.
Di lei forse che miri avrai contezza,
O de’ suoi casi o del suo sangue almeno.
E chi non sa che di Magdeno il figlio,
L’avida -Pigmalion, regnar doveva
Nella reggia di Tiro a Dido unito?
E in qual parte non giunse il fatal grido
Che il tiranno fratel dall’Asia tutta
Discacciò due germane, e che Didone
D’Africa ai lidi, alla minore unita,
Di novella città le mura eresse?
Jarba, re de’ Numidi, arse Cartago;
Distrutta è la città, Dido è perita,
Fuggitiva è la suora; eccola; in essa
Vedi Selene, in me tu vedi un servo.
Selene. Abbi, chiunque tu sia, pietà di un sangue
Scherno finor della fortuna avversa.
Poco a te chiedo, se a te chiedo un tetto