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ENEA NEL LAZIO 273
Per tuo peggio finor mentisti il grido.

Dimmi: conosci Enea? Sai tu che in petto
Ho di Dardano il sangue, e che i natali
Ebbero gli avi miei d’Italia in seno?
Cadde Troia, egli è ver, caddeo con seco
Della Troade l’impero. I Dei puniro
Le discordie private e i folli amori
E le colpe de’ rei; ma d’Ilio il nome,
E la gloria di un sangue al Ciel sì caro
In me serbavo ancor. Partii dal Xanto
Per consiglio del Ciel, che irato troppo
Contro popoli ingrati, al miglior stuolo
De’ Troiani destina un nuovo impero.
Nè a mendicarlo in forastier paese
Guidali il condottier; li guido in parte
Dove hanno albergo quei Penati istessi
Che fur tutela agli Avi nostri, e a sdegno
Ebbero forse un abbandono ingrato.
Ecco, se brami esaminar dei fati
La ragione e l’impero, ecco la fonte
Del supremo voler. Del padre Anchise
Mel confermò fin dagli Elisi il cenno.
Ministro io sono degli Dei. Quest’armi
Son del Cielo ministre, e la donzella
Che arditamente possedere aspiri,
Per antico lignaggio a noi congiunta,
I prischi germi rinnovar dee al mondo.
Tu il soffri in pace, o se il destino irriti,
Miei pur vedrai sotto un dominio solo
Anche i Rutoli tuoi, che sono anch’essi
Parte antica del Lazio e mio retaggio.
E quell’eroe che fuggitivo or chiami,
Te fugato vedrà co’ tuoi seguaci
O ai confini d’Europa, o in seno a Dite.
Ascanio. E se persisti, nel tuo seno il brando