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ENEA NEL LAZIO 271
Nè posto avrian su questa terra il piede,

S’io preveduto il tuo periglio avessi,
E l’armi teco in tua difesa unite.
Or de’ Rutoli e Ardeani il stuol guerriero1
In aiuto ti reco. Odimi, e m’oda
Colui che torvo e minacciante ascolta.
Usa a tuo pro de’ miei soldati, o attendi
Dall’armi loro a’ torti miei vendetta.
Ascanio. Tu lo soffri, signore? Ah! se non parli,
Troncar mi vedi a tolleranza il freno. (ad Enea
Enea. Taci, risponder spetta al re Latino. (ad Ascanio
Latino. Turno, mi è noto il tuo valor, rammento
Quanto oprasti per me; tu pur rammenta
Quanto a te resi, e debitor non farmi;
Chè de’ Siculi, Etrusci e Volsci uniti
Meno del tuo potere il mio non valse
A frenare l’orgoglio. Amai d’averti
Ed amico e congiunto, e alle tue brame
L’unica figlia ad accordar fui pronto.
Io non manco di fè. Voler dei Numi
E che io ti manchi. Di Laurento ai lidi
Spinse Giove i Troiani, e a chiare note
Mi parlaro gli Dei. Questi che miri,
Almo figliuol di Venere e di Anchise,
Regnar deve sul Lazio; ed io non cessi
All’armi sue, ma al favellar dei fati.
Turno. E con qual stil ti favellaro i fati?
Latino. Con quello stil, cui provvidenza eterna
Usa coi re che han degli Dei rispetto:
Degli auguri col labbro, e degli aruspici
Col sacro ministero, e delle vittime
Colle cruenti viscere parlanti,
E con quant’altro religion consiglia,
Mi parlaro gli Dei.

  1. Così il testo.