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ENEA NEL LAZIO 267
Di goder, di regnar. Tenero ancora

Ti crede il mondo a sostenerne il peso.
Io lo reggo per te, per te fui spinto
Miglior destino a procacciar, nè ancora
Abbastanza sudai per tua fortuna.
Ma se mal corrispondi a tanto affetto,
Se mal conosci di tua sorte il dono,
Degno non sei di conseguirne il prezzo.
Valor nell’uom dee rispettarsi, è vero,
Ma valore soltanto acquista pregio
Se prudenza lo regge. In altra guisa
Valor diventa ambizione, orgoglio,
Leggerezza, follìa. Rammenta, o figlio,
Di Paride l’error. Paride acceso
Più dal perfido amor che da vendetta,
Giunse a rapir di Menelao la figlia,
E feo di Troia la ruina estrema.
Soffri ch’io tel rammenti, e che risvegli
Nel tuo tenero cor da qual scintilla
Nacquer le fiamme che la reggia han spenta
Di Priamo, e d’Ilio e del gran padre Anchise.
E voi soffrite che al figliuol non cessi
Di prudenza e virtù porgere i semi:
Chè maggior cura non aggrava il padre
Oltre il dover di moderare un figlio.
Acate. Cura degna di te.
Latino.   Non può un tal padre
Che degno far di eterna gloria il figlio.
Lavinia. Caro sempre a me fia che Ascanio onori
Del padre il nome e dell’Italia il regno.
Ascanio. (Ma senza nome e senza regno i giorni
Passar mi è grave, e il mio destin ne incolpo).
(da sè, mortificato
Acate. Oh voi, cui rese il sommo Giove amici,
Non perdete i momenti. Ara s’innalzi