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ENEA NEL LAZIO | 265 |
SCENA III.
Latino e Lavinia, preceduti da Guardie e seguitati da Primati
del regno, ed i suddetti.
Chi le leggi finor diè solo al Lazio.
Ma viltà non mi sprona a chieder pace:
Al voler degli Dei la fronte inchino.
Essi, che prole a me negar maschile,
A questa unica figlia un degno sposo
M’hanno in te offerto ed un erede al trono.
Turno, d’Ardea signor, credeo finora
Sè a tai doni prescelto; or io m’aspetto
Del suo sdegno le prove, e tu ti appresta
Del fier rivale a sostener l’orgoglio.
Per amico ti bramo. Un popol solo
Dei Troiani si faccia e de’ Latini.
Ecco la figlia mia; sia dessa il mezzo
Dell’eterna amistà. Rechino i figli
Di Lavinia e di Enea la doppia gloria
Di due sangui sì illustri a Italia e al mondo.
Enea. Oh degno re, cui l’ampia terra onori,
E obbedisca e tributi, i doni accolgo
E dai Numi e da te. Non fu, tel giuro,
Barbara avidità che al mar Tirreno
Abbia spinte le navi. I fati amici
Qui noi mandaro a riparar dei Greci
Le sconfitte e gl’inganni e l’odio antico.
Lode agli Dei, dell’amistade i pegni
Generoso tu m’offri, ed io li accetto;
Accetto il cor della gentil donzella
Che dee farmi felice, e dal bel labbro
Sentir desìo che non le spiaccia il nodo.
Lavinia. Signor, dai labbri miei non aspettarti