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262 ATTO PRIMO


Enea. Ah sì! del genitor rammento ancora

La terribile voce. Ei fu che sprone
Diemmi al partir, quando d’Apollo il cenno
Destommi al cor, quando mi disse ingrato.
Acate. Quella fu vision; questa che or temi
È illusione, è prestigio. Osserva; il carro
Spinge Febo alla terra, e ornai coperta
L’ha di sua luce. Il re Latin si aspetta,
E Lavinia con seco; e qui si denno
Giurar le paci, e assicurar l’asilo
A te medesmo e a’ tuoi Troiani e al figlio.
Deh! fa che in volto non ti vegga i segni
Di lugubre tristizia, e non ti creda
La novella tua sposa avverso o infido.
La vedesti, ti piacque, è d’amor degna.
Ella in dote ti reca un regno amico
Senza il prezzo del sangue. Ella rifiuta
Turno per te, cui volea darla il padre.
Che vuoi di più? Doni minor son questi
Delle offerte di Dido? Hai tu ragione
Di esser più grato all’Africana esclusa
Dal voler degli Dei, o a chi ti è data
Per man di Giove a far rinascer Troia?
Enea. Oh fido amico! oh de’ miei lunghi affanni
Util conforto e tutelar mio nume!
Tu mi rendi a me stesso. In me l’effetto
Fan le tue voci, che su folta nebbia
Il caldo sol che la dissolve e irradia.
Scusa il mio delirar. Chiama pietade
Quell’amor che condanni, e il duol che in’ange,
Per colei, non so ben, se viva o estinta.
Acate. Basti alla tua pietà, basti il sofferto
Cruccioso dolor! Le nuove imprese
A cui tutto te stesso il fato impegna,
Non ti torranno di pietoso il vanto.