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ENEA NEL LAZIO 261
Enea. Fonte di mia tristizia è il mio rimorso.

Tu non fosti presente al duro caso,
Che all’estremo confin d’Africa insorse
A turbarmi il riposo, e dove io scelsi,
Per non esser spergiuro, essere ingrato.
Tu, del tenero mio diletto Ascanio
Amoroso custode, in altri mari
Costretto fosti a secondare i venti,
Mentre io toccai colla sdruscita prora
Di Cartagine i lidi. Ah! non sai quanta
Pietate usommi, e qual amor, quai doni
Dido m’offerse, che dal tirio soglio
Fuggitiva si ergea novello regno.
Acate. Da che il destin le sparse navi ha unite,
E ricongiunti ci abbracciammo, e insieme
Proseguimmo il cammin dai Dei segnato,
Più fiate meco ripetesti il foco
Onde Giuno nemica il cor t’accese,
Che poi la madre tua Venere ha spento.
Oh se diviso non mi avesse il fato
Dal tuo fianco, Didone o non ti avrebbe
Nella reggia raccolto, o al mar placato
Spinto ti avrei velocemente in seno.
Non rammentasti, che di Troia il danno
Fu beltà lusinghiera? All’armi avvezzo
Non temesti d’amor le insidie e l’onte?
Miser colui che con beltà s’incontra!
Miser più chi non teme, e il laccio spera
Poter discior quando sofferto ha il nodo!
Deh! sien grazie agli Dei; vincesti al fine,
Armi vincesti e superasti inganni
Più di quelli di Marte aspri e fatali.
Non ti doler di un abbandon, che rende
Gloria al tuo nome, e del tuo padre Anchise,
E degli avi Troiani adempie i voti.