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ARTEMISIA 249
Il tardo lume della Dea triforme,

Scorgo nuovi ripari, a cui fors’anche
Pensato aveva il traditor condotto
Da rei ministri all’esecranda impresa.
Superato il timor di nuove insidie,
Torno sull’orme nel cammin stampate,
Bacio l’urna regal del tuo nemico
Miro la spoglia insanguinata al suolo.
Rendo grazie agli Dei di tua salvezza,
E or più contento il tuo crudel comando,
Regina, adempio ed al partir m’affretto.
Artemisia. Figlio, vieni al mio seno...
Euriso   Ohimè! Delira? (a Talete
Zeontippo. Odimi, figlio. Ah non più figlio!...
Euriso   Oh stelle!
Quivi il mio genitor?
Zeontippo.   Con sì bel nome
Cessa omai di chiamarmi. Io son tuo servo,
Il mio prence tu sei. Nicandro, abbraccia
La tua tenera madre.
Artemisia.   Ah caro figlio,
Tu vivi ancor per mio conforto.
Euriso   Oh Numi!
La mia regina è madre mia? L’occulta
Voce conosco di natura. Ah dite
Qual mia colpa, o destin, tre lustri interi
Me tenne al regno ed a me stesso ignoto?
Talete. L’oracolo fatal tai voci espresse:
“Tremi la madre dell’amor del figlio”.
Zeontippo. Abbastanza tremò la madre amante.
Avverato è il presagio. Il Ciel soltanto
Timor predisse, e non ruine e morte.