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230 ATTO QUARTO
Di color che giuraro ai Numi in faccia

Obbedienza alla regina Eumene.
Avvezza è Caria a rispettar chi regna,
E chi d’interna ribellion ti parla,
Credi, invan ti lusinga, e al debil voto
D’Alicarnasso non vacilla il trono.
Farnabaze. Male finora interpretasti i moti
Del mio piè, del mio cor. Nè van desìo
Guidami a te d’encomiar tal atto,
Nè pensier di lagnarmi, e molto meno
Quello di minacciar. Lo sai ch’io t’amo,
Nè pon gl’insulti cancellar l’affetto.
Quella corona che dal crin ti togli,
Non scema in te nè la virtù, nè il vezzo;
Questo è il regno che io cerco. Il tuo bel core
Vale del mondo a equiparar l’impero.
Artemisia. Grande è la tua bontà. Maggior sarebbe
Se non fosse sospetta.
Farnabaze.   Chi mal pensa,
Ragione in sè del rio pensar ritrova.
Sai che tu m’insultasti; un cuor non vile
Atto non credi a sofferire i torti,
E l’ira temi, ch’eccitar ti piacque.
Ma fra sdegno ed amore ho il cuor diviso.
L’un vendetta mi chiede, e l’altro tenta
Disarmar le giust’ire. Io non so dirti
Qual de’ due vincerà.
Artemisia.   Vinca chi puote,
L’amor non curo e l’ire tue non temo.
Farnabaze. Ti pentirai del tuo soverchio orgoglio.
Artemisia. Olà, rispetta le persone e il loco.
Farnabaze. Taccio per or; ma il mio tacer ti accresca
La ragion di temer. Soverchio, il vedo,
Di un ospite è l’ardir, ma in me perdona
L’amor, lo zelo, la verace brama