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ARTEMISIA 229
Eumene. No, tu non perdi di regina il nome,

Nè il grado eccelso, nè il poter sovrano.
Cedesti a me della corona il peso,
Non la gloria e l’onor. Tu regnar devi
Sul trono e sul mio cor. Qualunque sposo
Il tuo consiglio o il tuo voler mi doni,
Divider dee con due regine il serto.
Nulla il dritto di sangue o di natura
Varrebbe in me, se l’amor tuo non fosse
Prodigo in mio favor. Conosco il dono,
Grata ti sono, e lo sarà. Le leggi
Prenderò dal tuo labbro. I miei vassalli
Sol da sì grande protettrice avranno
E le grazie e gli onori. A te si aspetta
Il comandar, mio l’eseguir fia sempre.
Artemisia. Questa bella umiltà non far che scemi
Con l’uso di regnar. Serbala intatta
Non per me sola, ma pe’ tuoi vassalli;
Chè la superbia ogni grandezza oltraggia,
E l’umiltate ogni altro pregio abbella.
Pisistrato. Dubbioso è sempre, se più gloria acquisti
Chi cede il trono, o chi l’accetta umile.
Euriso L’una e l’altra virtù d’applauso è degna.
Farnabaze. Lice recar da uno straniero omaggio (avanzandosi
Di due regine al maestoso aspetto?
Artemisia. Principe, a che venisti? a far maggiore
Con la presenza tua la regal pompa,
O a lagnarti di me? Nel primier caso
Grata ti son di tua bontà; nell’altro
Scusa ti chiedo, se di usar mi piacque
La potestà, che mi han concessa i Numi.
Non rispondi, signor? Sarebbe forse
Un’occulta minaccia il tuo silenzio?
Se tal pensi, t’inganni. Osserva, osserva:
Questo che miri è il novero minore