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ARTEMISIA 223
E... oh Dio... non so che fia... mi manca il fiato.

Talete. Dir lo volea, che di un garzon lo spirto
Mal retto avria nella magione oscura.
La cupa tenebrìa, l’incerto lume
Delle pallide faci, i trofei sparsi
Dell’orribile morte, e più di tutto
L’animo forse dell’idea ricolmo
Di un re giacente fra que’ marmi in polve,
Alterato del sangue il corso usato,
In te produsse il non inteso effetto.
Euriso No, t’inganni, Talete; alma non chiudo
Debol cotanto, e mal accorta in seno.
Trattar coll’ombre, e non curar gli estinti
Saprei ben anco in mille tombe e mille,
E di morte sprezzar gl’insulti e il nome.
Per più forte cagion dal cener freddo
Emerse quel terror. Sentomi ancora
Gl’interni moti e l’agitato spirto
Altronde scosso che da vil timore.
Talete. Che pensi tu di così strani effetti?
Che ha che far con quell’urna un uom straniero?
Euriso No, straniero non son. Di Caria è parte
La remota mia terra. Il re ai vassalli
Padre è comune, e tutti noi siam figli.
Vede Mausolo estinto il regno oppresso,
Vede la sposa nel periglio estremo,
E la germana e il popolo suo fido
Ch’è vicino a perir. Da me richiede
Forse ciò che sperar dai servi ingrati
Reo costume gli vieta. Arder mi sento
D’alto desìo di segnalar miei giorni
Co’ miei trionfi, o col mio sangue almeno.
Andiam, Talete, a confortar nel tempio
L’una e l’altra regina. Il Ciel m’inspira,
Il Ciel sorgente del beato vero. (entra nel tempio