Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXV.djvu/223


ARTEMISIA 219
Dassi al basso natal; vil non mi sento

Negli affetti del cor. Ti amo, o regina,
E chi può far che un pastoreli non t’ami?
Tu sei degna d’amor, d’amor capace
Mi crearo gli Dei. Può la distanza
Fra il tuo grado ed il mio far ch’io rispetti
Il tuo grado real, non ch’io non t’ami.
Di quest’amor che arditamente io svelo
Non sarò il primo che avvampar si senta,
E tu, se me dell’amor tuo degnassi,
L’unico esempio non saresti al mondo.
Artemisia. A me parli d’amor? La tua sovrana
Osi sperar d’una viltà capace?
Va, che indegno tu sei di mia clemenza;
Togliti al guardo mio.
Euriso   No, mia regina;
No, non temer che l’amor mio ti offenda;
Amo la gloria tua, darei per essa
La mia vita, il mio sangue. Amor ti chiedo
Di materna pietà; ti offro l’amore (tenero
Di vassallo fedel, di figlio umile.
Artemisia. Ohimè quegli atti! Ohimè la flebil voce
Dell’amante mio sposo udir mi parve.
Torna, torna a ridir.
Euriso   Comanda, imponi,
Tutto farò per te.
Artemisia.   No, acconcia il labbro
In più teneri modi.
Euriso   Ah non presumo
Oltre il dover, nè del favor mi abuso.
Basta che tu mi soffri, e darti io possa
Prove d’amore e di rispetto insieme. (come sopra
Artemisia. (No, non avea quel risoluto ardire
Il mio tenero sposo. Oh come tosto
Quello che brama il cor, lusinga il guardo!)