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ARTEMISIA 215

SCENA V.

Artemisia sola.

Oh dell’eterno imperscrutabil fato

Invisibile autor, manda dall’etra
Un di que’ raggi, che alle menti il lume
Recan divino e fan presaghi i cuori.
E tu, Mausolo mio, mio re, mio Nume,
(accostandosi al Mausoleo
Sposo mio, che ancor vivi entro al mio seno,
Parlami al core. Oh fortunato avello,
Oh tomba augusta che il miglior monarca
Della terra rinchiudi, i sacri marmi
Divota inchino e riverente io bacio.
Deh da quell’urna, dove il cener giace
Dell’amato signor, rapido emerga
Elisio spirto che il valor m’infonda
Del chiaro lume e del miglior consiglio.
Non mai sì incerto e sì tremante il piede
(si scosta dal Mausoleo
Mossi all’alitar. Si dee d’una corona
Giustamente dispor. Se a me la tolgo
Per donarla ad Eumene, adempio al dritto
Di natura, e a me tolgo inutil peso
Che il patrio regno ed il mio cor minaccia.
Ma se me stessa sollevar pensando,
Guido la suora dello sposo al trono,
E tolgo al figlio inavveduta il regno?
Viver Nicandro non potrebbe ancora?
Viver Nicandro? Qual lusinga insana,
Dopo tre lustri mi discende in petto?
Nol vidi, è ver, fra gli ultimi singulti
Spirar l’alma innocente. Serpere udissi
Tacito mormorio che amor tiranno,