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di strumenti militari i soldati d’Alessandro” e Talestri, regina delle Amazzoni, con la schiera delle succinte compagne (forse ricordava il G. di aver letto di recente le Amazzoni della Boccage: Mém.es, II. ch. 34 e presente vol., pag. 89). In fine appare l’ombra del re morto (Dario), come nella Semiramide di Voltaire o nell’Amleto. Sembrano gli annunci lontani non del Romanticismo, si dell’arte futura del cinematografo. A eccitare l’applauso serve l’effetto assordante di qualche verso frugoniano. I personaggi, senza un fil di vita, paiono fantocci scheletriti che perdano a ogni scossa la stoppa dall’abito sdrucito.

Le accoglienze del pubblico furono, io credo, fredde, se non ostili. Vero è che nè al Pitteri nè al Pasquali il Goldoni diede da stampare gli Amori d’A., ma solo nell’età senile li affidò allo Zatta insieme con gli altri suoi manoscritti, e uscirono nel tomo XXXI della grande edizione, ossia X della il serie, nel 1793 (furono ristampati a Lucca l’anno stesso nel tomo XXXI dell’ed. Bonsignori). Ben fecero i biografi e critici del Goldoni a dimenticare del tutto questo insulso saggio poetico che il povero autore scrisse contro natura e contro voglia per soddisfare i capricci del pubblico. Solo il Meneghezzi lo condannò tutt’insieme con le Ircane, con le Georgiane, con le Dalmatine, con le Selvagge, col Terenzio e con l’Enea nel Lazio (Della vita e delle opere di C. G., Milano, 1827, pag. 131). L’autore stesso ne tacque pietosamente nelle sue Memorie.

Povero Goldoni! Egli volle vendicarsi di queste brutture a cui nemmeno i Veneziani innamorati d’Ircana fecero buon viso, e creò sorridendo per l’ottobre seguente la Compagnia de Salvadeghi ossia i Rusteghi, e subito dopo con magnifico furore d’arte la Casa nova, la Bona mare, le Villeggiature, Sior Todero e le Baruffe, che da tempo gli si agitavano confusamente dentro il petto. E poi abbandonò l’Italia.

G. O.