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GLI AMORI DI ALESSANDRO 177


ma in luogo d’Apollo faceva parlare con le nove Muse il personaggio principale della commedia. Carlo Gozzi, come il solito, rise (v. Opere. ed. Colombani, t. VIII, pag. 196):

                    Fegejo è insuperbito e rigonfiato,
                    Che questo Carnovale è stato fermo;
                    Con le sue nove Muse ha fatto schermo;
                    Del tutto il Sacchi non l’ha sbaragliato ecc.

Non ricorderemo qui, a proposito di questi infelicissimi Amori, le leggende pullulate nel Medioevo intorno alla figura dell’eroe macedone (P. Meyer. Alexandre le Grand dans la littérature française du moyen âge, Paris, 1886; D. Carraroli, La Leggenda di Al. Magno, Torino, 1891; V. Crescini, Il poema cavalleresco, in Storia dei generi lett., ed. Vallardi, cap. III). Degli amori e della generosità d’Alessandro risonava da gran tempo il teatro tragico e melodrammatico in Europa. Un numero grandissimo di recite ebbe nel Settecento il famoso Alessandro nell’Indie (1729) del Metastasio, musicato dal Sarro, dallo Schiassi, dal Siroli, dal Bertoni e da altri maestri, che deve certo la prima ispirazione all’Alexandre (1665) di Racine, tradotto fin dal 1697 a Bologna (L. Ferrari, Le traduz. del teatro tragico francese ecc., Paris, 1925, pag. 11). Ma probabilmente il Goldoni si ricordo di un’"opera tragicomica" di Giacinto Andrea Cicognini. Gli Amori di Alessandro e di Rossane o Le Glorie e gli Amori A. M. e di Rossane ecc. (Genova 1652. Modena e Napoli 1654: v. L. Grashey, G. A. Cicogninis Leben und Werke, Kirchhain N.-L., 1908. pp. 27 e 35) o del dramma per musica dello stesso autore, (rappresentato a Venezia, nel teatro dei Ss. Apostoli, l’anno 1651 e l’anno dopo a Genova, e nel ’54 a Modena e nel ’56 a Bologna e replicato nel ’67 a Venezia nel teatro di San Moisè, col titolo di Alessandro amante: v. continuatori Drammaturgia Allacci. Ven. 1755): sebbene altro fosse l’intreccio da lui immaginato. Anche nella tragicommedia goldoniana troviamo Rossane, ma abbandonata e dimenticata dal re macedone che qui si innamora di Statira, figlia di Dario. Così più tardi, nella tragedia del veronese Andrea Willi (1733-93), intitolata Alessandro il Grande, il re di Macedonia sposa Statira (v. Opere Teatrali del Willi, vol. XI, Venezia, Rosa, 1796). Convien rammentare che fin dal 1741 il Goldoni scrisse una Statira, musicata dal maestro Chiarini e rappresentata nel teatro di S. Samuele durante la fiera dell’Ascensione (Spinelli, Bibliografia goldoniana, pag. 196), ma essa è la vedova di Dario che sposa Arbace, nè vi compare Alessandro; mentre nella nota tragedia di Pradon (Statira, 1679: trad. da Pier Jac. Martello, come si vede a pag. 199 dei suoi Versi e prose, Parte II. Bologna, 1724, pag. 199; e recit. a Bologna, fin dal 1711: Ferrari, l. c., 245) Statira è figlia di Dario e vedova d’Alessandro.

Un’opera più misera e assurda non compose il Goldoni nemmeno ai tempi del Belisario e del Rinaldo. Come mai potevasi illudere di aver trovato un’azione nobile, uno stile eroico (“mi sono servito in questo dello stile Drammatico più confacente all’istoria, e al carattere di Tragicomedia”: Mantovani, 123) e una satira spiritosa dei cosidetti novellisti? Siamo nel regno dell’abate Chiari: si vuol commuovere gli spettatori con la carta d’oro e d’argento della scenografia, facendo sfilare sul palcoscenico "al suono