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122 ATTO PRIMO
E il mio padre e il mio re veggo in periglio.

Dal Ciel sperar soccorso
È opportuno conforto, è ver, ma il Cielo
Par sdegnato con noi. Non ode i voti
Delle querule genti,
Ed a pro del nemico usa i portenti.
Dunque in chi confidar? Ah sì! pur troppo
Solo sperar ci resta
Nell’inimico istesso: egli nel seno
Pari all’ardire ha la virtù compagna;
E se la sua fierezza
Fatta ha sopra di noi la crudel prova,
Ora la sua pietà tentar ci giova.
Policrate. Principessa, che dici?
Dall’inimico audace
Con atto di viltà chieder la pace?
Lisimaco. Viltà non può chiamarsi
Cedere al suo destin. Sì, d’Alessandro
Il nobil core ogni clemenza eccede;
Andiam la pace a domandargli al piede.
Niso. Non ascoltar, Statira,
Di costoro il consiglio. In lor tu senti
Passion favellare. Odia Alessandro
Policrate ostinato, e l’ama troppo
Lisimaco imprudente. Ambi son tratti
Per diversa cagione
Dal fanatico stil fuor di ragione.
Statira. Ecco la via di mezzo
Che giovare ci può. Mi offre Alessandro
L’amicizia e l’amor. Colla mia destra
Posso calmar lo sdegno,
E promover la pace al padre e al regno.
Policrate. Ah! non fia mai, Statira,
Che tal nodo si compia.
Lisimaco.   Ah! voglia il Cielo,