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gran parte dell’anno a Padova, dove il Cesarotti, lo Strafico, l’astronomo Toaldo e il Sibiliato e i più famosi forestieri animavano il suo salotto (B. Brunelli, I libri di Caterina Dolfin, in Marzocco, 7 febbraio 1926). Ma la fiamma per il giovane duca milanese dopo quattro anni non era ancora spenta.
Questa venezianissima dama del Settecento, che incoraggiava con l’ingegno e con l’anima l’audace politica del Tron, questa vera "repubblicana" come vantavasi di chiamarsi, che vedeva pur troppo rovinare, urtata di dentro e di fuori, la gran mole dello stato fondata da Pier Gradenigo: “Sì, cascarà la mole di Pierazzo — Perchè xe un’oca deventà el leon”, e tuttavia gridava: “Ma mi, fia de un Dolfin, muger de un Tron, — Batto grinta per Dio, mi no me mazzo — E se casco, no casco in zenochion”, fu a tempo di assistere alle furie della Rivoluzione che abbatteva in Francia la monarchia e scoteva l’Europa; e morì in patria, di 57 anni, per sincope improvvisa nel suo casino di San Giuliano, ai 13 novembre del 1793.
Di lei tracciò il miglior profilo Enrico Castelnuovo, nel 1882: Una dama veneziana del secolo XVIII (in Nuova Antologia, 15 giugno); ma ella attende ancora il suo biografo. Lo Spinelli prometteva fin dal 1884 di darci della Dolfin e della Serbelloni alcune notizie inedite (Bibliografia Goldoniana, pag. 88), ma invano rinnovò pubblicamente la promessa nel 1907, poco tempo prima che la morte lo cogliesse.
G. O