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aveva trascorso i mesi più lieti della fanciullezza imparando sotto la guida del genitore, amante dello studio e delle arti, le scienze e le lingue antiche. Dicesi leggesse Plutarco nel testo greco; certo aveva divorato i libri francesi d’ogni genere; coltivava il disegno e la pittura, la poesia e il ricamo; cavalcava, dilettavasi della caccia e della pesca. Le morì il padre nel ’53 (11 febbraio, in contrada di S. Marcuola), e lo cantò in alcuni affettuosi sonetti (editi molto più tardi a Padova, 1767): due anni dopo, non ancora diciannovenne, diede la mano di sposa a Marco Ant Tiepolo (di S. Polo, in calle de Ca’ Centoni, n. 26 marzo 1722), ma ben presto ebbe luogo la separazione. Del marito non fa parola il Goldoni. L’occhio esperto del nostro commediografo notò “qualche cosa di estraordinario” in questa piccola e giovane donna dai capelli d’oro, dagli occhi azzurri, dal petto audace, di natura ardente e voluttuosa, pronta a passare dal pianto alla gioia, dallo sdegno alla generosità. Come e quando riuscisse la Dolfin a innamorare il rustego Carlo Gozzi, il nemico della filosofia francese, l’orso della società veneziana del Settecento, che a lei, divenuta Cavaliera e Procuratssa Tron, dedicava la stampa della Marfisa bizzarra, dove qualcuno dubitò si potesse celare una satira della ex-filosofessa, non sappiamo (v. Molmenti, G. Gozzi inedito, “estratto” dal Giornale Storico della Lett. It., vol. LXXXVII, 1926, pp. 16 sgg.; e G. Ziccardi, La Marfisa Bizzarra di C. G., in Rassegna Critica della letteratura ital., A. XXIV, 1919, num.i 4-6, pp. 84 e sgg.). Nel ’69 ella ebbe un’improvvisa passione per Carl’Antonio Pilati (di Tassullo, in val di Non), autore famoso della Riforma d’Italia (v. E. Brol, C. Pilati a Venezia, “estratto” da Pro Cultura, anno 1912, fasc. 1. pp. 9 sgg.). Nel ’67 pare cominciasse a frequentare il suo celebre casinetto Gaspare Gozzi che alla sua generosa protettrice fra il ’68 e il ’72, e poi dal ’77 all’82, scrisse bellissime lettere e le dedicò per gratitudine, nel ’79 (quando il cuore della nobile dama sanguinava, offeso dalla publicazione, fatta a Stocolma, della nota Narrazione Apologetica del Gratarol), un suo libretto di Componimenti in prosa e in versi.
Per molti anni ella fu l’amica di Andrea Tron, una delle più vigorose figure del Settecento veneziano; e a lui finalmente si unì, dopo ottenuto l’annullamento del primo matrimonio, ai 15 ottobre del 1772. Convien ricordare come pochi mesi prima la Repubblica ordinasse la perquisizione e il sequestro di alcuni suoi libri e come, dopo il fatto del Gratarol, facesse chiudere per qualche tempo il suo casinetto a San Giuliano. Per il Tron (n. 3 ott. 1712, m. 1785), molto più vecchio di lei, ebbe piuttosto venerazione che amore. Prima ch’ella diventasse Procuratessa, imperava nella “bottega da caffè” e nel salottino a S. Giuliano, in un circolo di ammiratori e di adoratori, fra cui gareggiavano di arguzie il sordo e mordace ab. Barbaro e l’ab. Labia, poeti satirici nel patrio dialetto, e il poeta granellesco don Pietro Fabris, e il grande botanico Giovanni Marsili, e lo spiritoso Orazio Lavezzari fedele servente, e il buon conte Gasparo. Il nuovo matrimonio, l’età e i dolori frenarono la sua libera esistenza e forse la sua vivacità, ma non impedirono al suo cuore non più giovane di accendersi nel 1783 per il duca Gian Galeazzo Serbelloni di Milano, figlio della celebre Maria Ottoboni-Serbelloni (Molmenti, Epistolari Veneziani del Secolo XVIII, nella Collezione Settecentesca Sandron, 1914, pp. 177 e sgg.i). Rimasta vedova nell’85 del potente marito, si ritirò a vivere