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di Marmontel. E però non è esatto Attilio Momigliano quando accenna alla Bella selvaggia e la dice “volutamente e ingenuamente russoniana da capo a fondo” (I limiti dell’arte goldoniana, nel volume di Scritti vari ecc. in onore di R. Renler, Torino, 191l, pag. 87): nemmeno parmi che il Goldoni si proponesse davvero in questa commedia dei problemi seri che non seppe risolvere (ivi, pag. 86). Ma delle filosofesse e delle virtù primitive dei selvaggi se ne rideva Carlo Gozzi nelle sue fiabe teatrali; e tentò di mettere in derisione Rousseau il vecchio marchese Ferdinando Obizzi di Padova nel suo Bel selvaggio, commedia per la villa, stampata a Padova nel 1766.

L’anno prima, nel tomo XII della Biblioteca Teatrale Italiana scelta e disposta da Ottaviano Diodati, patrizio lucchese, usciva una ristampa della Bella selvaggia del Goldoni (edita nel 1761 a Venezia, nel t. VII dall’ed. Pitteri) “con le aggiunte e le variazioni del Signore N. N.” probabilmente del Diodati stesso “per uso de’ Signori Accademici della Comica del Teatro di Lucca” Una recita troviamo pure nel Collegio S. Carlo di Modena, nel carnevale del 1769 (Cronistoria dei Teatri di Modena del maestro A. Gandini ecc.. Parte 2a, Modena, 1873, pag. 251). Invano tentò di farla risorgere la compagnia Venier e Asprucci recitandola ai 5 novembre del 1805 nel teatro di S. Benedetto a Venezia (Giornale dei teatri comici di Venezia dall’anno 1801, di Velli e Menegatti, pag. 98). Come alle altre commedie orientali, non poteva mancare a questa la fortuna d’essere tradotta e rappresentata a Lisbona. Nel Catalogo generale della Raccolta drammatica italiana di Luigi Rasi è in fatti segnata: “A Bella Salvagem, Comedia nova composta no Idioma italiano pelo autor Carlos Goldoni, e traduzida na Lingua Porlugaeza, para se representar no Teatro do Baino Alto, Lisboa, na officina de Simao Thaddeo Ferreira, 1778” (una ristampa uscì nel 1788, presso Felippe da Silva e Azevedo).

In certi sonetti che appartengono al 1758, Carlo Gozzi, deridendo il Goldoni e il molto suo sapere, allude alla Sposa Persiana e alla Bella selvaggia con questi versi: “Sa che in Persia a ber l’oppio sono usati, — Ch’è furioso un Selvaggio sbarbato, — E sa come il caffè va preparato...” (Opere, ed. Colorabani, VIII, 1774, pag. 189). Pur troppo basta a teatro, per far ridere, anche la barba di Schichirat.

Sarebbe inopportuno ricordare, a proposito di Schichirat ubbriaco (atto IV, scene 5 e 6), l’avventura di Renzo nell’osteria della “Luna piena”. I discorsi sconclusionati del povero Renzo non ci offendono, anzi destano indulgenza e pietà, perchè il sentimento tempera il riso. Le risa sguaiate che provoca Schichirat simili a quelle che accompagnano nell’Ircana in Ispaan la sordità di Vaiassa, appartengono al comico volgare dell’arie, come la balbuzie di Grazioso nel Conte di Bucotondo (o Nobiltà vuol ricchezza) del Fagiuoli.

Sulla fine del settecento, G. Gh. De Rossi ne’ suoi “ragionamenti” Del moderno teatro comico italiano, e del suo restauratore C. G., ricorda le tre commedie persiane e la Bella selvaggia senza nessun disprezzo (Bassano, 1794, pag. 105). E il Pignatorre nel suo Elogio a Goldoni (Venezia, 1802) scrive che “i Persiani e gli Americani stessi non isfuggirono alle inevitabili ricerche del suo talento indagatore, e alle pennellate originali della sua mano maestra” (pag. 17; vedi pure a p. 38 n.). Anche Gio. Gherardini nelle note che aggiunse alla