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LA BELLA SELVAGGIA 561
Coperto di rossore quest’umile sembiante.

E se dal Ciel punito per le mie colpe io sono,
Col pentimento in cuore posso sperar perdono.
Il Ciel non lo ritarda a chi sincero il chiede:
Usar questa pietade fra gli uomini si vede.
Del suddito le colpe perdona anche il sovrano,
Ed a voi sol perdono chieder io deggio invano?
Donn’Alba. Col Ciel non si misurano nostri terreni affetti.
Sempre pietoso è il Cielo, il Ciel non ha difetti.
Gli uomini la pietade usano a lor talento;
Il re può contentarsi talor di un pentimento.
Ma sia virtù o difetto quel che or mi rende altera,
Le voci non ascolto di un’alma menzognera.
E duolmi di non essere sovrana in questo lido
Per punir, come merita, un traditore infido.
D. Ximene. Sovrana esser potete di me, della mia sorte.
Sta in vostra man, donn’Alba, la vita e la mia morte.
Spiegato ha don Alonso contro di me un arcano;
Può la sorella il cuore piegare di un germano.
E puote in grazia vostra questo german placato
Rendermi quell’onore, di cui privommi irato.
Donn’Alba. Perfido! ti conosco. Dinanzi al mio cospetto
È il timor che ti guida, non amor, non rispetto.
Grazia in tempo mi chiedi che per rossor ti affanni.
Ma se la grazia speri, col tuo sperar t’inganni.
Rimproverar piuttosto saprò il germano istesso,
D’aver men ch’egli merita, un traditore oppresso.
E se verran mie voci di don Alonso al cuore,
Farò che nel punirti accresca il suo rigore.
D. Ximene. Come nutrire in petto può mai tanta fierezza
Donna che porta in volto l’idea della dolcezza?
Come mai quei begli occhi, dove l’amor risiede,
Posson negar pietade a chi pietà lor chiede?
Ah sì, quella virtude che il mondo in voi decanta,
Di sollevar gli afflitti, di perdonar si vanta.