Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
LA BELLA SELVAGGIA | 555 |
SCENA IV.
Don Ximene solo.
Ah che il cuore avvilito le sue sventure or sente.
Che ho perduto in un punto? grado, ricchezza, onore;
Tutto ho sagrificato a un indiscreto amore.
Oh inganno! oh debolezza! or ti conosco appieno;
Ora da’ miei rimorsi ho lacerato il seno.
Quale amor per Delmira mi stimolava il cuore?
Dicolo a mia vergogna, un disonesto amore.
Sol per meglio tradirla mi offersi a lei marito,
E del mio tradimento m’hanno gli Dei punito.
Donn’Alba è mia nemica, fu don Alonso offeso:
In faccia alle milizie ridicolo son reso.
La prigionia, la morte è il più leggier timore;
Quel che più mi spaventa, è il perdere l’onore.
Che diran nel Brasile gli amici e gl’inimici?
Ah, che diran le oziose lingue mormoratrici?
La Corte, il Portogallo, l’Indie, l’Europa, il Mondo,
Che dirà di Ximene? Misero! io mi confondo.
Posso al rossor dar fine colla mia destra ardita.
Posso morir; ma vive l’onor dopo la vita.
E fra gli scorni e l’onte morir da disperato
Fa che resti il mio nome più ancor disonorato.
Deggio alla mia famiglia, deggio al sangue, al decoro
Degli avi miei la gloria ch’ereditai da loro.
Essi da me non chiedono le colpe vendicate,
Ma una virtù, che superi le debolezze andate.
Bella virtù, nell’anima scendimi a poco a poco,
Cedano i rei pensieri alla virtude il loco.
Impietosito il Cielo in mio favor s’impegni,
E un tal esempio agli uomini moderazione insegni.
parte