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LA BELLA SELVAGGIA 549
Donn’Alba.   Parla. Che dir vorresti?

Delmira. Dirò che la fortuna dei nobili natali
Contasi di natura fra i doni principali.
Ma che di un simil dono chi con orgoglio abusa,
La natura medesima di un’ingiustizia accusa.
Donn’Alba. Tanto ardita favelli? Schiava, sai tu chi sono?
Delmira. Sì, lo so, mia signora. Domandovi perdono.
Nata di sangue illustre siete in real cittade
A comandare avvezza fin dalla prima etade.
Voi della culla intorno aveste ai primi albori
Servi, donne, ricchezze, comodi, fregi, e onori.
Poi nell’età cresciuta, resavi nota al mondo,
Menaste fra i piaceri un vivere giocondo,
E tributar vedeste di nobiltade ai raggi
Dagli ordini diversi i rispettosi omaggi.
Ma confessar dovrete che in mezzo a tai splendori
Miraste con dispetto i gradi a voi maggiori;
E il verme dell’invidia nascosto in ogni seno
Vi macerava il cuore d’ogni plebeo non meno.
Fra queste selve oscure dove siam tutti eguali,
Il merto non consiste nel sangue e nei natali.
Non si distingue il grado, ma apprezzasi di più
Chi supera nel pregio d’onore e di virtù.
Questi son veri beni che ognun da sè procura.
Negli altri non ha merito che il caso e la natura.
Donn’Alba. Parla così una donna fra popoli selvaggi?
D. Alonso. Può la ragion per tutto illuminare i saggi.
Donn’Alba. Delmira, il tuo talento merta ch’io non ti sprezzi,
Usa la tua virtude, ma non usare i vezzi.
Amor per don Ximene l’anima non mi aggrava,
Ma mia rival non soffro che vantisi una schiava.
Nè soffrirei che ardesse di vergognoso amore
Per femmina volgare di un mio germano il core.
Conosci i dover tuoi, non ti mostrar altera,
E nel mio cuor pietoso tutto confida e spera. parte