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544 ATTO TERZO
Ma nel novel cimento ei non venne all’impresa,

E della sua viltade mormorazion fu intesa.
Me voglion le milizie signore in questo suolo;
Dev’esser la Guajana conquista di me solo.
E dando al mio sovrano tributi e vassallaggio,
Dovrà da me dipendere il popolo selvaggio.
Voi che amabile siete, che mi accendeste il core,
Meco a parte sarete dei beni e dell’onore.
E il popolo soggetto in mezzo ai mali suoi
Grazie potrà sperare, chiedendole da voi.
Delmira. Vorrei saper qual titolo darmi voi destinate.
D. Ximene. Quel titolo, quel grado vi darò che bramate.
Delmira. Quello ancora di sposa?
D. Ximene.   Quello di sposa ancora.
Delmira. Signor, la mia bassezza troppo da voi si onora.
Pregovi illuminarmi intorno ai vostri riti.
Da voi con quante donne si sposano i mariti?
D. Ximene. Una sola consorte deesi sposar da noi.
Delmira. Quand’è così, signore, io non sarò per voi.
D. Ximene. Di don Alonso i detti non dianvi alcun sospetto.
Di donn’Alba la fede promisi a mio dispetto.
Data la mia parola, tosto ne fui pentito,
Giurai dentro me stesso non esserle marito.
È una vedova altera, superba, puntigliosa,
Che crede se medesima maggior d’ogni altra cosa;
Che di amar non si degna, e pensa a lei dovuto
De’ cuori rispettosi ogni umile tributo.
Dal vostro bel costume quell’alma è differente.
Delmira. Così non parlereste, se a lei foste presente.
D. Ximene. Vano è parlar di lei; donn’Alba è nel Brasile.
Meco usare non puote l’indocile suo stile.
Saprà, quando fia tempo, che altra beltà ho sposata.
Delmira. Che direste, signore, se qui fosse arrivata?
D. Ximene. Donn’Alba a questi lidi?
Delmira.   Donn’Alba è a voi dappresso: