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542 | ATTO TERZO |
Sai pur che dalla fame nel crudo verno oppressi,
Svenan talora i padri i loro figli istessi.
E tu che per la gloria versar devi quel sangue,
Puoi cimentar l’onore pria di vederla esangue?
Torna, torna in te stesso, ripiglia il tuo valore.
Camur. Prendi, Zadir; la svena. Di farlo io non ho core.
(rende il dardo a Zadir
Zadir. Bastami il tuo comando; il mio dovere adempio.
Non mi chiamar, Delmira, crudo, spietato ed empio.
T’amo, e l’amore istesso, del tuo bel cuor geloso,
A forza mi costringe al sagrifizio odioso.
Camur...
Camur. Lasciami in pace; vibra, crudele, il dardo.
Padre al colpo inumano non può fissare il guardo,
Delmira. Non tormentarmi almeno, non prolungar mia pena.
Se ho da morir, si mora. Eccoti il sen, mi svena.
Zadir. Seno, a cui mi doveva stringer d’amore il laccio,
Pria di morir concedimi un amoroso abbraccio.
Delmira. Non lo sperare.
Zadir. Ah ingrata! sì che mi fosti infida.
SCENA IV.
Don Ximene con gente armata, e detti.
Zadir. (Fato crudel! s’io moro. Delmira è abbandonata.
Vivasi alla vendetta). Cedo alla sorte ingrata.
(getta il dardo
Camur. (Ah non è stanco il Cielo di usarmi il suo rigore).
D. Ximene. S’incatenino entrambi. (ai Soldati che eseguiscono
Delmira. (Povero genitore!)
D. Ximene. Al recinto dei schiavi siano condotti anch’essi;
Al cenno mio si serbino, dalle catene oppressi.