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LA BELLA SELVAGGIA 529
Bastami che le donne non vengano a insultarmi.

E che se agli occhi loro sembro incolta e mal saggia,
Perdonino i diletti di femmina selvaggia.
D. Ximene. Come! chi fia l’ardita, che perdevi il rispetto?
Svelate il di lei nome; la punirò, il prometto.
Delmira. Non semino discordie. Tacer mi permettete?
D. Ximene. Vo’ saper chi v’insulta.
Delmira.   Da me non lo saprete.
D. Ximene. Sì, la vostra ripulsa mi piace e non mi offende.
La pietà, la prudenza, più amabile vi rende.
Se docile cotanto siete con chi vi offese,
Qual sarete pietosa per chi di voi si accese?
Delmira. Ah sì, la mia pietade, il mio tenero affetto
Serbo a quel che d‘ amore per me s’accese in petto.
E ad onta della sorte più barbara e spietata,
Non sarò, ve lo giuro, con chi mi adora, ingrata.
D. Ximene. Chi di me più felice, se voi mi assicurate,
Bella, dell’amor vostro?
Delmira.   No, signor, v’ingannate.
Quel che mi ama è Zadir. Ebbe Zadir mia fede;
A lui serba il mio cuore giustissima mercede.
Chi tenta d’involargli il mio cuor, la mia mano.
Franca ve lo protesto, meco lo tenta invano.
D. Ximene. Donna così mi parla da me beneficata?
Delmira a chi l’adora, così risponde ingrata?
Io che dal piè vi trassi di servitude il laccio,
Di un barbaro selvaggio dovrò vedervi in braccio?
Delmira. Voi, signor, mi rendeste libera quale or sono?
Non fu di don Alonso tal benefizio un dono?
D. Ximene. Ei da sè non comanda; meco all’impresa unito,
L’arbitrio ed il potere abbiam fra noi partito.
E quando io vi volessi soggetta al mio potere,
Non ardirebbe Alonso di opporsi al mio volere.
Delmira. Spero da voi non meno quella pietade istessa
Che mi ha il compagno vostro col suo favor promessa.