Nel mio poter fidate, non recherawvvi offésa.
Offerta al vostro piede la libertà primiera,
Sia giustizia, sia dono, darvi si deve intera.
Non è, non è Ximene, meco agli acquisti accinto,
L’arbitro delle prede; meco ba pugnato e vinto.
Ardo ve lo confesso, io pur per gli occhi vostri,
Ma vo’ che dal mio core rispetto a voi si mostri,
E se la sorte amica degno di voi mi rende,
Amor la sua mercede dal vostro labbro attende.
Delmira. Merta la bontà vostra che grata a voi mi renda,
Ma non vuole il destino che al vostro amor m’accenda.
Tal che Zadir si chiama, ebbe mia fede in dono.
Arbitra, lo vedete, più del mio cor non sono.
D. Alonso. E in poter di un selvaggio che la virtù non prezza,
Dovrà per mia sventura cader tanta bellezza?
Delmira. Qual dei nostri selvaggi rio concetto formate?
Non apprezzan virtude? Signor, voi v’ingannate.
Altre leggi, altri riti hanno i paesi estrani,
Ma la ragion per tutto regna nei cori umani;
E di onesto costume le massime onorate
Forse da noi selvaggi saran meglio osservate.
Quivi desio non sprona gli animi alle rapine,
A seminar non vassi le stragi e le rovine;
Ciascun del proprio stato si appaga e si contenta.
Suo ben coll’altrui danno di procacciar non tenta.
Ai miseri soccorso porgere a noi s’insegna.
Fra noi la data fede perpetuamente impegna.
E se virtù si chiama vivere vita onesta,
L’hanno i selvaggi in petto. La lor virtude è questa.
D. Alonso. Sì, la sua patria onora labbro prudente e vago.
Ma del vostro destino, Delmira, io non son pago.
Delmira. Se il mio destin vi piace di rendere migliore,
Fate che in libertade rivegga il genitore.
D. Alonso. Libero è già Camur. Fu dal mio labbro istesso
Tolta a lui la catena. Sciolto è Zadir anch’esso.