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492 ATTO QUINTO
Per evitar il peggio, dico allo sposo: andiamo.

S’ei di venir ricusa, se tu il contrasti e il nieghi.
Vano sarà ch’io parli, vano sarà ch’io prieghi.
Tamas sa il mio disegno: o fuor di queste porte,
O tolgami di pene la mia, non la sua morte.
Ogni ragion in vano mi parla e mi consola;
O che al partir mi affretto, o che qui resto io sola.
Machmut. (Ah col rigor si tenta di riparare in vano...).

SCENA ULTIMA

Un Servo e detti; poi Osmano.

Servo. Signor, da’ lacci sciolto, brama vederti Osmano.

(a Machmut
Machmut. Venga, sentiam quel core s’è impietosito o altero.
Fatima. (Ah che pavento, e tremo).
Tamas.   (Ah che più ben non spero).
Osmano. Oh Machmut, oh amico, tenero al sen ti stringo.
Esser grato qual devo a te non mi lusingo.
L’opra so generosa del tuo sincero affetto:
Figlia, mia cara figlia, vien che ti stringa al petto.
Genero, Alì mio fido, sì, che tuo padre io sono.
Tamas, della tua colpa mi scordo, e ti perdono.
Vidi nel carcer tetro l’onor non della morte,
Che cento volte e cento la disprezzai da forte;
Ma l’onor mio perduto vidi in orrido aspetto,
E risarcir le macchie dell’onor mio prometto.
Sì, che mi aspetti il Trace più dell’usato altero.
Fin nella reggia istessa dell’Ottomano impero.
Suderò della gloria per i smarriti allori.
Sarà di Machmut il prezzo dei sudori.
L’oro avrai che spendesti per me, tra ferri esangue;
A te devo la vita, a te dovuto è il sangue.
Vivo ai trionfi ancora, al mio destin perdono.
Pace vi rendo, amici, pace vi chiedo in dono.