Dimmi: ne’ primi giorni che tu mi avesti acerba.
Scorgesti me fra l’altre andar schiava superba?
Umile fui del pari colle più vili e abbiette;
Mi fur senza lagnarmi le tue catene accette;
E se costui che or vedi, non seduceami allora,
Serva sarei coll’altre, senza lagnarmi ancora.
Ma se una donna è amata, se lusingar si vede,
Vile è colei che affetto di meritar non crede.
Pure, da sue lusinghe resa superba e vana,
Qual è il delitto alfine, di cui si aggrava Ircana?
Una colpa, e poi basta; Tamas fé’ mio quel core,
Sola di quel ch’è mio, sola vogl’io l’onore.
Questa costante brama, questo desire onesto,
Fu il mio primiero incanto, e mi condusse al resto.
Un’altra donna in mezzo di gelosia ai deliri,
Sfogata da se stessa si avria con li1 sospiri.
Io sospirar non posso, non son vile a tal segno:
Di lagrimare in vece, accendomi di sdegno.
Lo sdegno mio mi porta sino alle stragi in seno,
Ma non smarrisco il dritto, nè la ragion vien meno.
Dopo sventure tante stringere al sen mi lice
Il caro sposo, è vero; esser dovrei felice.
Della virtù di Fatima prove ho sicure, il veggo.
So che l’insulto a torto, ma al mio timor non reggo.
Odio ho contro me stessa pel mio 2 sospetto insano:
Tentai dal sen scacciarlo, ma l’ho tentato in vano.
Se di partire intimo al figlio tuo che adoro,
A costo di arrischiare la vita e il mio decoro,
Questo pensar sì strano, questa passion, che credi?
Parla giustizia in questo in me più che non vedi.
So che a ragion per Fatima il tuo dover s’impegna,
So che il volerla esclusa, è pretensione indegna.
Viver con lei non posso, trarla da te non bramo,
- ↑ Ed. Pitteri: cogli.
- ↑ Savioli, Zatta e rist. torinese: per un.