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490 ATTO QUINTO
Tamas. Come sperar, signore, come sperar mai pace?

Machmut. E chi è costei, che vanta di spaventar la terra,
Che col suo ciglio a tutti suol minacciar la guerra?
È una donna, è una belva, è un’aspide inumana?
Ha di Medusa il volto? Olà, qui venga Ircana.
(ad un Servo che parte
Tamas. Lascia, signor, ch’io parta.
Machmut.   Vile che sei, ti arresta.
D’un uom che in Persia è nato, qual codardia è codesta?
Nati siam noi nel mondo per dominar quel sesso.
Qua, più d’altrove, il grado vien della donna oppresso.
Schiave son tutte, e solo sposa al talamo eletta
Può comandare all’altre, ma all’uom sempre è soggetta.
E tu cedi l’impero a femmina a tal segno,
Che d’uom nato in Europa l’atto sarebbe indegno?
Va, compatisco Ircana, se ti calpesta insano:
Tutte vorrian le donne tener le briglie in mano.
E se viltà il consente d’uom che sta alla catena,
Solo è di lui la colpa, e sia di lui la pena.

SCENA VIII.

Ircana e detti.

Ircana. Eccomi, chi mi vuole?

Machmut.   Son io, che ti domanda,
Son io, che in queste mura ancor regna e comanda,
Quello che il cuor del figlio solo governa e regge,
Che d’una donna altera sdegna soffrir la legge;
E che a te stessa intima elegger la tua sorte,
O schiava contumace, o docile consorte.
Ircana. Signor, la mia fierezza portata ho dalla culla:
Sposa non so cangiarmi, se tal fui da fanciulla;
Ma la fierezza mia non è, se dritto miri,
Effetto irragionevole di barbari deliri.