Alì. Ecco i tuoi servi ancora.
Machmut. Sedete. (tutti seggono sui guanciali
Ircana. Ah, ch’io prevedo,
Che di partir ti penti. (piano a Tamas
Tamas. Si partirà. (piano ad Ircana
Ircana. Nol credo, (piano a Tamas
Machmut. Figli, amici, e voi tutti che a Machmut servite,
Il signor vostro, il padre, a ragionare udite.
Salvi siam da un periglio, che sovrastava a tutti:
Goda la mia famiglia della vittoria i frutti.
Lauto convito apprestano ad un mio cenno i cuochi,
Musica avremo e danze, feste, trionfi e giuochi.
Ma quel che più vi bramo, saldo piacer verace,
Quel che fra voi mi preme, è, figli miei, la pace.
E perchè duri eterna la cara pace amica,
Soffra ciascun ch’io parli, soffra che il vero io dica.
A te mi volgo in prima, mia gioia e mio contento, s’alza
Figlio, di padre amante miglior sostenimento.
Il rammentarti è vano quanto per te finora
Fece quel padre offeso, che ti vuol salvo ancora.
Torna in te stesso, e pensa, se più di quel che festi
A un genitor pietoso, fatto a un nemico avresti.
Quale ai deliri tuoi, qual non offersi aiuto,
Nel precipizio orrendo sol per amor caduto?
Io ti porsi la mano a sollevarti in alto:
Volesti tu di nuovo precipitar d’un salto.
Ecco, tornasti ancora, senza acquistarti un merto,
Del genitore al seno, a ricovrarti aperto.
Ecco, il paterno albergo dove, crudel, sei nato,
Torna a soffrir quel piede, che lo calpesta ingrato.
Nè sol te il padre accoglie, teco pietoso ancora,
Ma tua mercè, la schiava soffre abbracciar qual nuora.
Mirami, Ircana, in volto, vedi colui che offeso
Fu da te fin nell’alma, miralo vinto e reso.
Che non facesti, ingrata, coll’arti e col consiglio,