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460 ATTO TERZO

SCENA XII.

Tamas ed Ircana.

Tamas.   (Eccoci soli alfine).

Ircana. Tamas, da me t’invola.
Segui il tuo fido amico; la sposa sua consola.
Tamas. So che vuoi dirmi, Ircana, ma tu m’insulti a torto.
Ircana. Perfido, in quelle soglie, no, il piede mio non porto.
Va da te solo; Alì, saggio, costante amico,
Di Fatima ti ponga nel suo possesso antico.
Tamas. Cara, se per te meno provassi in cuore affetto,
Esposto io non avrei alle ferite il petto.
Per sostenere il nodo, che a te mi lega e unisce.
Mi cimentai fra l’armi.
Ircana.   No, il labbro tuo mentisce.
Spinto da’ miei rimproveri (che tollerasti a stento),
Fingesti, anima vile, discendere al cimento.
Se non veniva io stessa, testimon di tua fede,
D’Osman la tua incostanza ti avria gettato al piede.
Dir non ardivi ad esso, per ambizione insana,
Fatima è d’Alì sposa, è la mia sposa Ircana.
E se un momento solo tardava il venir mio,
Sposo, le avresti detto, di Fatima son io.
Io provocai la pugna, il tuo rossor destando.
Io fui la prima allora ad impugnare il brando.
E fu quel che or mi vanti insolito valore,
Timor della tua vita, non della sposa amore.
Tamas. Ma se in mio danno ogni opra dell’amor mio converti,
Come scordare i segni puoi di mia fè più certi?
L’abbandonar la sposa fino con atto indegno,
Scarso sarà d’amore, scarso di fede un segno?
Ircana. Segno sarà, se dritto esaminar si deve,
Che nel tuo seno il corso della costanza è breve.
Segno, che qual tu fosti con Fatima spergiuro,
L’amor, che per me vanti, meco è ancor mal sicuro.