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448 ATTO TERZO
Potrà, se non mi vendico, trarmi di pugno il brando.

Un Soldato. Signore, il gran Visire a te per quella via
Il Bey delle guardie a favellarti invia.
Osmano. Venga, l’ascolterò. Non credo, e non pavento.
Che alcun voglia impedirmi il mio risentimento.
Pensar dovrà il Sofì, pensar dovrà il Divano,
Ch’io de’ Calmuchi e Tartari tengo il comando in mano,
E pria ch’io lo deponga dinanzi al regio piede,
Far posso, se m’impegno, tremar la regal sede.

SCENA II.

Scacch Bey e detti.

Scacch Bey. Osmano, il gran Visir, che fida in tua virtute,

Per me d’amico in nome t’invia pace e salute.
Strano al Divan rassembra, strano al Sofì regnante,
Che qua, senza il lor cenno, rivolte abbi le piante;
E in luogo di condurre ver Babilonia il campo,
Qui splendere si vegga delle tue spade il lampo.
L’ordine a te fu dato di debellare il Trace,
Che della Persia nostra turba i confini audace:
Ciascuno all’inimico incontro andar ti crede,
E per cagion privata in Ispaan ti vede.
Le tue vittorie illustri, il tuo valore antico,
Fa che ti soffra il regno qual suddito ed amico;
E quel rigor che avrebbe forse con altri usato,
Teco sospender vuole, duce alla gloria nato.
Ordine ho sol di dirti, che i tuoi guerrieri armati
Solo a pro della patria a te sono affidati;
Però colle milizie promovere non spetta
In faccia a chi comanda da te la tua vendetta.
Contro di chi ti offese parla, domanda e grida.
Conosci il tuo monarca, in lui solo confida.
Han giudice i privati, che siede in tribunale;