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438 ATTO SECONDO
E in questa età canuta penar, soffrir bisogna.

E sino in faccia mia, più di un briccon si prova
A dir: peccati vecchi, e penitenza nuova.

SCENA V.

Ibraima, Zama e detta.

Ibraima. Eccola la custode. Mirala, brutta e antica.

Zama. Sia come esser si voglia, ci giova averla amica.
Diciamle qualche lode all’uso del paese.
Vajassa. Eccole; se son buone, anch’io sarò cortese.
Zama. O saggia, o venerabile, degnissima matrona,
O tal che fra le donne ha merto di corona;
O degna d’obbedienza1, o degna di rispetto.
Il Ciel vi dia salute.
Vajassa.   Che cosa avete detto?
Zama. Vi offersi il cuor sincero, rispetto e obbedienza.
Lasciate che vi baci la man per riverenza.
(le bacia la mano
Vajassa. Brava la mia figliuola: così vi vorrò bene, a Zama
E voi non vi degnate di far quel che conviene?
(a Ibraima
Ibraima. Il Cielo vi conceda e pace e sanità,
E facciavi vedere di Nestore l’età.
Mantengavi, qual siete, il ciel robusta e forte,
E bella, e spiritosa.
Vajassa.   Dite un poco più forte.
Ibraima. È sorda. a Zama
Zama.   Me ne accorsi. (ad Ibraima
Vajassa.   Non vo’ si parli piano.
Ibraima. Prometto d’obbedirvi, e baciovi la mano.
(le bacia la mano

  1. Nelle edd. Serioli, Zatta ecc.: ubbidienza.