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IRCANA IN ISPAAN 437
Vajassa.   Parla un poco più forte.

Bulganzar. Non ci senti? forte
Vajassa.   Ci sento.
Bulganzar.   Se seguiti così,
Ci vuole una trombetta.
Vajassa.   Trombetta? Eccola qui!
Nelle giornate umide certa flussion mi viene...
Grazie al Ciel, non son sorda, ma non ci sento bene:
Parlami in questa canna, che sentirò assai più.
Bulganzar. Proviamo. (parla nella canna all'orecchio di Vajassa
Vajassa.   Non è vero, un briconcel1 sei tu.
Oibò che baronate! uh che cose da foco!
Non voglio sentir altro... Seguita un altro poco.
(Mostrando che Bulganzar le dica all'orecchio delle impertinenze.
Sì, va a chiamar le schiave; bene, le spose ancora.
Ti aspetterò. Sta zitto. Che dici in tua buon’ora?
Oh che briccon! Va via; tu mi hai solleticata.
Bulganzar. (Curcuma in questa vecchia mi par che sia rinata).
parte

SCENA IV.

Vajassa.

Oh che digrazia è questa, aver perso l’udito!

Meglio per me sarebbe un occhio aver smarrito.
Quando le genti parlano, ed io non so di che,
Dubito che fra loro discorrano 2 di me.
E arrabbio dal dispetto di non poter sentire,
E son la mia disgrazia forzata a maledire.
Oh non si tien da conto salute in gioventù,
E poscia vi si pensa quando non si può più.
Ho fatto de’ strapazzi, che a dirgli ora ho vergogna,

  1. Così nel testo.
  2. Edd. Pitteri e Pasquali: discorrino.