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308 ATTO QUINTO
Aza. Eccoti quel rimorso che mi agitava il cuore. (a Zilia

Deterville. (Torno a sperare).
Cellina.   E tanto a dirlo vi voleva?
(a Rigadon
Rigadon. Alfin per questa voglia disperder non poteva.
(a Madama Cellina
Deterville. (S’aman le leggi nostre, ciò troveranno ingiusto).
Pierotto. (Non darei questa scena per un milion. Ci ho gusto).
Kanich. Perdonami, signore, se dispiacer ti reco.
Aza. Chi tid chiamò, villano? Zilia, tu verrai meco.
Zilia. Dove, signor?
Aza.   Là dove sia onesto un tale affetto.
Zilia. Ah, il tuo rimorso istesso or mi si sveglia in petto.
Deterville. Dove, signor, sperate trovar parte sicura,
In cui cotale affetto non sdegni la natura?
Fu tollerato un tempo codesto nodo al mondo,
Allor ch’uopo egli aveva di rendersi fecondo.
Ma popolato alfine, in più matura etade,
Vietò cotali nozze la legge e l’onestade.
E l’onestà e la legge perciò rende sicura
L’innocenza de’ figli fra domestiche mura.
Trovar sperate in vano asilo nel Perù:
Il Sol, mercè gl’Ispani, là non si adora più.
Cessero al nuovo rito le antiche leggi vostre.
Zilia, giuraste pure voi d’osservar le nostre.
Aza, fu di voi scritto sino dai lidi iberi,
Che i riti dell’Europa vi parvero sinceri.
Perchè sedotti i spirti da contumaci ardori,
Tradir le vostre menti, tradire i vostri cuori?
Se il grado vostro ad arte sinor fu qui celato,
Avete l’error vostro, tacendo, confessato.
Se un silenzio innocente fu il vostro, illuminati
Rendavi la ragione convinti e rassegnati.
Quell’amor che cotanto v’arse finora il petto,
Puote fra voi cambiarsi in virtuoso affetto;