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LA PERUVIANA 287
Stava sul punto ei stesso di dir, t’adoro anch’io;

Vedevalo vicino a dirlo al padre mio.
Quando alla patria nostra recò perfida stella,
Nemica al mio riposo, di Zilia la novella.
Vidi restar confuso Aza più che contento,
Conobbi in quii’ istante del cuore il turbamento.
Sperai che il novel foco spento avesse l’antico.
Ma lo sperar fu vano; Aza di fede è amico.
Parea che mi volesse chieder perdon, tacendo;
Gli fo saper coi sguardi che il suo dolor comprendo;
Onde l’amor di due alme a goder vicine
Negli occhi ebbe il principio, ebbe negli occhi il fine.
Aza mostrò desio di riveder la sposa;
Tutte provai le smanie d’un’anima gelosa;
Ma dissi fra me stessa, ciò che soffrir conviene,
Merto mi rechi almeno in mezzo alle mie pene.
Io fui che al genitore dissi, a Parigi andiamo;
Aza colà si scorti, la suora mia veggiamo.
Ah non fu il cor bugiardo nel consigliarmi allora:
Vanne con lui, mi disse; puoi lusingarti ancora.
Seco son qui venuta. Veggo che Zilia a voi
Grata il dover vorrebbe, quanto vuol Aza a noi.
Veggo d’amor gli sforzi alla virtude in faccia.
Finor tace ogni labbro, vuol la ragion1 ch’io taccia;
Uno a parlar principii, il mio sarà il secondo.
Datemi voi coraggio, ed io non mi confondo.
Deterville. Nuove speranze in petto da voi destar mi sento;
Se Aza per voi sospira, poss’essere contento.
Vero egli è, che la fede obbliga un’alma onesta;
Ma Zilia ancor potrebbe assolverlo da questa.
E coll’esempio in faccia d’un che lo fa con lei,
Potrebbe con amore pagar gli affetti miei.
Zulmira. Zilia lo sa? Sospetta d’Aza e di me?

  1. Ed. Zatta: vuole ragion.