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LA PERUVIANA 263
Ben me n’accora allora che appresi a mio rossore,

Quel che spiegar voleva questa parola: Amore.
Colpa fu mia, noi niego, questa passion che v’arde;
Dovean le mie pupille volgersi a voi più tarde.
Al mio signore il viso alzar dovea tremante.
Rispettar il nemico, non coltivar l’amante.
Voi chiamandomi austera, selvaggia, anima ingrata,
Prima d’innamorarvi mi avrestenota disamata.
Goduto non avrei frutti del vostro amore,
Ma della sconoscenza non proverei il rossore.
Aza perduto forse avrei senza di voi.
Il Cielo a noi mortali cela i decreti suoi.
Morta sarei fedele a lui, per cui son nata;
E a Deterville che l’ama, Zilia non fora ingrata.
Deterville. Voi vi pentite adunque di quel primier momento,
Che piacer mi sapeste?
Zilia.   Sì, Deterville, mi pento.
Quella pietade istessa che voi m’usaste, io sdegno,
S’ella v’impresse in cuore di vincermi il disegno.
L’oro e l’argento io nacqui a calpestare avvezza;
L’onore e l’innocenza forman la mia ricchezza.
Che dirà il mondo insano di me, se voi partite?
Aza di qual sospetto voi col partir fornite?
Se di mirar vi spiace questo rivale in volto,
Parmi un miglior rimedio difficile non molto.
Lungi non è Parigi, brevissima è la strada;
Senza di voi lasciate che ad incontrarlo io vada.
Tornerò collo sposo ai lidi del Perù;
Zilia da voi lontana non la vedrete più.
Grazie dei doni vostri il grato cuor vi rende.
Ma li rinunzio allora che l’onor mio s’offende, parte
Deterville. Zilia, non partirò. Deh Zilia mia, fermate.
Pietà del mio dolore, anime innamorate. parte


Fine dell’Atto Secondo.