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258 | ATTO SECONDO |
SCENA VI.
Madama Cellina e Pierotto.
Pierotto. Cospetto! ha una gran fretta.
È forse il padre suo quello che Zilia aspetta?
Cellina. No, non aspetta il padre.
Pierotto. Chi? suo fratel?
Cellina. Nemmeno.
Aspetta un Peruviano, che le ha ferito il seno.
Pierotto. Brava! aspetta un amante? che modesta fanciulla!
E monsieur Deterville soffre, e non dice nulla?
Cellina. Che vuoi tu ch’egli dica, che vuoi tu ch’egli faccia?
Se Zilia ama quell’altro, forz’è ch’ei soffra, e taccia.
Pierotto. Come! ch’ei soffra e taccia, dopo che tanto ha fatto?
Or questa i’ non vorrei soffrirla a verun patto.
Direi ch’ella ha ragione, se fosse maritata;
Ma essendo ancor fanciulla, il padron l’ha comprata;
E renderla non deve: oh la sarebbe bella!
Ch’i’ avessi, per esempio, comprata una vitella,
E mi venisse dopo a dir vossignoria:
L’aveva contrattata, dunque la bestia è mia.
Risponderei: la bestia, signora, è nella stalla.
Sborsato ho il mio denaro, la mia ragion non falla.
Cellina. Fattor, parlate bene.
Pierotto. Ho io parlato male?
Il paragon che ho fatto, vi par troppo triviale?
Se non vi piace questo, ve ne dirò un più bello.
Vado al mercato, e compro, per esempio, un cappello.
Vien un da lì ad un mese, in testa me lo vede,
Dice che gli piaceva; lo vuole, e me lo chiede.
Per cortesia gliel’offro, ma quando l’ha guardato.
Dice non esser quello, perch’io l’ho adoperato.
Or Zilia non sarebbe da un altro ricercata,
Se Deterville l’avesse per esempio sposata.