Non credo ch’ella sia magnetica possanza:
Dell’oro e dell’argento fra noi v’è l’abbondanza,
E pur la gente nostra, a calpestarlo avvezza,
Non sente la sua forza, nol cura, e lo disprezza:
Sta il pregio delle cose dell’uom nell’opinione,
L’oro fa parer bello di lui la privazione;
E apprezzasi in Europa quel lucido metallo,
Come da noi farebbesi lo splendido cristallo.
Serpina. Una ragion per altro, dirò, padrona mia,
Parmi che sia nell’oro, che nel cristal non sia.
Questo soggetto a rompersi, moltissimo non dura,
Durevole quell’altro prodotto ha la natura.
È ver, voi mi direte, durano ancora i sassi,
Ma l’oro è cosa bella, e ognor più bello fassi.
Ha un non so che di più, che dir io non saprei;
Se avessi un po’ studiato, spiegarvelo potrei.
Di ciò parlar intesi più volte, io mi ricordo;
Ma donna sono alfine, e i termini mi scordo.
Zilia. Lo studio è il mio diletto, e giunta sono in parte,
Ove apprender poss’io le scienze, e ogni bell’arte.
Per ora interamente quel che occupa il cor mio,
Sono d’Europa i riti, che apprendere vogl’io.
Aza che sa, che intente, che ha più coraggio in seno,
Li avrà appresi e abbracciati, voglio sperarlo almeno:
Per ciò con impazienza anche maggior l’aspetto.
Sì, lo vedrai fra poco, Serpina, il mio diletto.
Serpina. Signora, io son di sasso.
Zilia. Perchè?
Serpina. Non mi credea,
Che più quel Peruviano aveste nell’idea.
Il mio padron, meschino, tanto vi porta amore,
Che parmi, compatite, dar gli dovreste il cuore.
Zilia. Io deggio a Deterville 1 molto, è ver, lo confesso,
Ma quel che Aza mi dona, è Deterville istesso.