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248 ATTO PRIMO
Se spiacevi ch’io ’l dica, signor, vi chiedo scusa;

Mentir da’ labbri miei per soggezion non s’usa.
Dicolo in faccia vostra, dirollo a tutto il mondo:
Aza è il premier ch’io stimo, e voi siete il secondo.
Deterville. Ma della stima vostra posso sperare il frutto?
Zilia. Se mi chiedete il cuore, d’Aza il mio cuore è tutto:
Se la mia man chiedete, questa la serbo a lui;
Quello che ad un si serba, non si divide altrui.
Restami per voi solo un altro amor nel petto
D’onestissime fiamme, di stima e di rispetto.
Se ciò vi basta, io sono grata quant’esser deggio;
S’altro da me bramate, sono infelice, il veggio;
Poiché dai benefizi, che mi faceste, oppressa,
Se comparisco ingrata, odio perfin me stessa.
Deterville. Zilia, soffrir m’è forza. So che vi adoro invano.
Deh per l’ultima volta porgetemi la mano.
Zilia. Di porgervi la destra, signore, io non ricuso.
Veggolo far da tutte; tale d’Europa è l’uso.
Eccola.
Deterville.   Oimè!
Zilia.   Signore...
Deterville.   Temo morirvi appresso.
Zilia. Deh non perdete il senno, non tradite voi stesso.
Senza sperar mercede, se vi tormenta amore,
Colpa non sarà mia la perdita del cuore.
Se Aza più non vivesse...
Deterville.   Aza ancor vive.
Zilia.   Il so.
Per me lo sventurato la patria abbandonò,
Ritogliermi sperando di mano a’ miei nemici,
Prigionier degl’Ispani fu anch’ei fra gl’infelici.
So che in Madrid ei vive, ho di sua mano un foglio.
Mi lusingai vederlo; ora sperar non voglio.
Sta in vostra man l’unirci; voi generoso siete:
Ma se l’amor contrasta, oh Dio! voi nol farete.