Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1927, XXIV.djvu/247


LA PERUVIANA 243
Pierotto. Eccomi qui, godete questa figura bella,

A cui d’uomo sol resta lo spirto e la favella.
Tutto il resto, madama, tutto il restante è andato;
Ma mi consolo almeno, che mal non l’ho impiegato.
Stato son di buon gusto. Ho avuto due mogliere.
Una grassa, una magra, bellissime a vedere.
Buonissime compagne ambe mi sono state,
La grassa nell’inverno, la magra nell’estate.
Zilia. Ed or se vi doveste rimaritar con una,
Qual delle due vorreste?
Pierotto.   Non ne vorrei nessuna.
Mi piace nell’estate posto variar nel letto,
Mi basta nell’inverno goder lo scaldaletto.
Colle due mogli mie son stato in eccellenza;
Ma parmi di star meglio, ora che ne son senza.
Zilia. Piacerai il bell’umore.
Cellina.   Che avete in quel cestino?
Pierotto. Ho un non so che di bello; ho un frutto peregrino.
Madama, v’è qui un frutto nato nel terren vostro.
Un frutto estraordinario.
Zilia.   Come si chiama?
Pierotto.   Un mostro.
Zilia. Un mostro? Che mai dite?
Pierotto.   Certo, signora sì.
Ecco, se non credete, il mostro eccolo qui.
Da un lato egli è arbicocco, e prugna è l’altra parte;
Maestra la natura fu nel produrlo, e l’arte.
Zilia. Due varie spezie unite? Come si può far questo?
Pierotto. Si fa, signora mia, coll’arte dell’innesto1.
Zilia. Innesto? Questa voce intendere non so.
Cellina. Anch’io poco l’intendo.
Pierotto.   Or ve la spiegherò;
Non come far potrebbe un uomo addottrinato.

  1. Ed. Zatta: e coll’inneesto.