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LA PERUVIANA 235
Rigadon. Zilia ai Spagnuoli parve dunque sì gran tesoro.

Da preferir nell’Indie al merito dell’oro?
Lo crederei, se in Spagna vi fosse carestia
Di questa femminile graziosa mercanzia.
Empiuti i lor navigli coll’oro e coll’argento,
La donna avran condotta per lor divertimento.
Deterville. No, v’ingannate, amico. La vide il capitano.
Se ne invaghì, rapilla al popol Peruviano.
Nè valse alla donzella il dir: fermate, io sono
Una vergin del Sole nata da regal trono.
Sordo alle sue querele, colto da sua bellezza,
Seco usò per amore la militar fierezza.
Rigadon. Cosa le ha fatto?
Deterville.   Al bordo la guidò della nave,
Che di ricchezze piena iva pomposa e grave;
Ma il Ciel, che ad altra mano serbata avea tal preda,
Fa che ne’ legni nostri urti l’Ispano, e ceda.
Io che temer non soglio in terra, in mar periglio.
Salgo primier di tutti sul nemico naviglio,
E la mia forte spada, unita ad altre cento,
Portò fra gl’inimici la morte e lo spavento;
Gli ori a partir fra loro i vincitor si diero;
Zilia fu la mia preda, fu Zilia il mio pensiero.
Dal timor tramortita in mezzo ad altre schiave,
La feci chetamente condurre alla mia nave;
Posta fu a rinvenire sul mio picciolo letto.
Ove da’ miei servita, le usai tutto il rispetto.
Gli ori, le gemme, e quanto avea la donna seco,
Per lei serbar io feci, e in Francia condur meco;
Cambiar i suoi tesori, senza narrarlo a lei,
Furo, in mobili e terre, finora i studi miei.
Ella verrà a momenti, come in terreni altrui,
E rimarrà sorpresa, scoprendoli per sui;
Vedrà che l’oro vale più assai ch’ella non crede:
Vedrà dell’amor mio le prove, e di mia fede;