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fosse suggerito da quelle parole che la Ortiz pure addita: “...Infelicissima è quella Moglie, che prende amore al Marito, perchè, oltre il dolore di vedersi posposta ad una Schiava ecc. ecc.” (t. V, p. 357). Che leggesse anche i famosi viaggi di Chardin (Londra, 1686 e Amsterdam, 1711) o quelli di Pietro Della Valle (Roma, 1658 e Venezia, 1664), non pare.

Ma nulla poteva capire dell’Oriente il nostro Goldoni, e nulla capivano, come sappiamo, i contemporanei. Anche se fosse tornato allora allora dalla Persia, la sua descrizione non sarebbe stata più viva. Egli non avrebbe letto nell’anima dei popoli orientali, non avrebbe saputo rappresentarci quel paesaggio, quei costumi, quel mondo. Questa sensibilità artistica di ciò che chiamiamo orientale od esotico, comincia a svegliarsi proprio quando il Goldoni ritraevasi ormai dal teatro. Tuttavia il poeta avrebbe potuto creare lo stesso un capolavoro drammatico: ma la Sposa Persiana appare oggi, accanto alla Zaira o all’Alzira di Voltaire, una misera fantocciata. Nessuno dei personaggi rivive per un momento solo in nessuna di quelle scene. Nè Tamas, nè Fatima, nè Ircana sanno esprimere una sola parola di vero amore. Siamo precipitati di nuovo dalla Locandiera nel Belisario, dalle creazioni delle Donne gelose e dei Pettegolezzi ai miseri artifici delle Griselde e degli Enrichi, dalla realtà più vivace alla più fredda falsità. Solo la bella voce di Caterina Bresciani poteva incantare nei delirii di Ircana i cuori dei Veneziani. Peggio ancora ci irrita col suo riso banale la vecchia Curcuma, che l’autore introdusse per poter conservare il titolo di commedia ai suo mostro poetico.

Il quale a sua volta ne generò tanti altri e godette di fortuna non effimera a Venezia e fuori. Nel 1756 Francesco Griselini scriveva in testa alla sua “commedia turca”, la Schiava nel serraglio dell’Agà de’ Giannizzeri in Costantinopoli: “Al Sig. Goldoni, il quale al nostro Teatro Italiano ha saputo recare l’antico suo splendore, si ha obbligazione, dirò così, di questa specie di scoperta nell’Arte Comica, di cui egli ne diede un nobilissimo saggio colla sua Sposa Persiana, Commedia che meritevolmente ottenne gli elogj e gli applausi delle Persone di qualunque ordine, ed in ogni città d’Italia, ove dopo Venezia fu esposta su le scene”. Per qualche tempo durò una specie di fanatismo. I patrizi veneziani vollero goderne perfino durante la villeggiatura. “Nella villa di Codego” nota il Gradenigo (in data 19 ottobre 1754) “in una stanza del palazzo del Senatore Garzoni da giovani nobili e cittadini si recitò la Sposa Persiana di Goldoni”. La fama arrivò fino a Vienna: il cavaliere Pietro Correr, ambasciatore colà della Serenissima, desiderò di averla. “Fui onorato di un tal comando” ricorda il Goldoni nella dedica delle Donne di casa soa (vol. XII, p. 425) “dalla Nobilissima Dama l’Eccellentissima Signora Maria Querini Correr, degnissima Vostra Sposa, ed io nelle mani di sì gran Dama non ho tardato a depositarla”. All’autore pareva adatta perfino alle monache (v. il capitolo stampato tra i Componimenti poetici per la N. D. Chiara Vendramin, monaca in S. Zaccaria ecc. Venezia, 1760: rist.° nel t. II, 1768, dei Componimenti diversi):

     L’onestà, per esempio, e el bel talento
Della Sposa Persiana, e el bon costume,
No saria da sprezzane in tun convento.

E in fatti leggiamo ancora nei Notatorj del Gradenigo (11 Maggio 1755): “Nel pio luogo della Ca’ di Dio il Doge permette che a divertimento ai